“Devo farle
compilare un questionario, anzi, scrivo io e lei firma soltanto”.
“Sì, lo so”
e iniziano le domande solite che perseguitano tutti ormai da mesi : hai avuto
il Covid, sei stato con persone infette, hai qualche sintomo, sai che…
“E’ stata in
qualche paese dove fosse in corso un focolaio?”
“No!”
“Io però scrivo
sì”
“Ma io non
sono stata in nessun focolaio!”
“ Ma io
scrivo sì”
“Ah beh, io “non
sono stata”, io sono “residente”, vero, essendo Lombarda!”.
Chiudo con
impazienza un passaggio obbligato per poter rivedere mia mamma dopo 5 mesi.
Sono nel cortile antistante l’ingresso principale della casa di riposo, ho
risposto distrattamente alle domande sbirciando il gazebo nel quale incontrerò
mia mamma. So che lei entrerà da un ingresso diverso dal mio, quel tendone da
circo bicolore rosso-arancione non mi attrae gran che e, anche dopo aver
superato l’ingresso, mi delude per quanto è disadorno: due sedie dirimpettaie ma,
separate da una parete di plexiglas, sono l’unico arredo. Mia mamma arriva
accompagnata dall’educatrice, passo incerto facilitato dal deambulatore, un po’
più magra ma, si direbbe in salute. Il suo primo gesto è tendermi le braccia, “non
mi saluti nemmeno?” chiede e viviamo entrambe il primo divieto mortificante: “no,
mamma, non possiamo toccarci, c’è una parete”. Anche se non lo diciamo, siamo
entrambe commosse, come se tutte e due fossimo delle sopravvissute. Tentiamo di
parlarci e immediatamente ci accorgiamo di un’altra barriera: il plexiglas
attutisce i suoni, mia mamma non mi sente anche se mi è stato concesso di
togliermi la mascherina. Devo chiedere all’educatrice se possa fornire mia
mamma di un cordless in modo che io possa telefonarle. Il provvedimento
funziona per poco, mia mamma non vuole creare disturbo all’ educatrice che le
ha dato il suo cellulare. Torniamo a non capirci, alle mie domande urlate
rispondono gli anziani che chiacchierano e prendono il sole in prossimità del
gazebo.
E’ mia mamma
ad interrompere l’incontro ben prima dei trenta minuti a disposizione, la
delusione sconfigge ogni entusiasmo.
Devo
prenotare ogni incontro, ci rivedremo fra qualche giorno. Di te so solo quel
che ho visto e quel poco che mi hai detto al cellulare: sei senza biscotti e
caramelle, vorresti due canottiere nuove , di cotone a spalla larga.
Scelgo di
rivederti all’aria aperta, come proposto dai responsabili della casa di riposo.
Luogo dell’incontro la cancellata che, fermamente chiusa, separa la strada dal
giardino/ cortile della struttura. Ti accompagna la psicologa che trascina la
sedia sulla quale ti accomoderai. Per non sbagliare le misure previste dalla
distanza sociale, è stata predisposta una bella catena bianca e rossa fra
paletti altrettanto graziosi. Mia mamma non capisce perché debba stare al di là
di quella catena che scuote con rabbia.
E’ luglio
inoltrato, fa caldo e nelle aiuole ortensie colorano quell’angolo di mondo
mentre viene diffusa musica tradizionale dai testi conosciuti e canticchiati
dagli anziani che possono godere le belle giornate in giardino.
Consegno
alla psicologa biscotti, caramelle, canottiere: te li daranno una volta “disinfettati”.
Devo sempre
alzare la voce, per farmi sentire. In pratica, non parlo con te ma, con tutti
gli ospiti e con i parenti di altri avvicinati alla stessa cancellata,
contemporaneamente. Grazie a Dio siamo in un paese in cui i legami parentali si
perdono nella notte dei tempi, le storie personali si intrecciano nelle
famiglie e sono vissute da tutti come proprie. Si parla, meglio si urla, di
tutto e di nulla.
Così ogni
volta. L’amarezza e la delusione diventano sofferenza pura, monta la rabbia.
Non tollero
le tue lacrime, la tua stizza nell’allontanarti perché non riesci a dirmi
quello che vorresti, la tua insofferenza
che somatizzi in uno stare poco bene non meglio specificato.
“ Quando
aprite l’ingresso ai parenti?”
“Eh ci vuole
ancora qualche giorno, l’ULS non ha dato ancora disposizioni”.
A me, riesce
sempre di ottenere risposte inattese. L’Assessore alla Sanità risponde a un mio
messaggio negando competenze dell’ ULS nel merito.
“Quando
aprite l’ingresso ai parenti?”
“Ancora
qualche giorno”.
Ci avviamo
alla fine di luglio, siamo in località montana ove ancora si cita “pioggia d’agosto,
rinfresca il bosco” e tutti sappiamo che con settembre il clima cambia e gli
anziani hanno minori probabilità di stare all’aperto. La sensazione che sia
necessario fare in fretta mi pervade.
Torno a casa
inviperita, mi attacco al telefono: voglio sapere cosa succede in altre case di
riposo in provincia. La persona all’altro capo del telefono, presidente di una
delle case di riposo della provincia ( non lo sapevo rivestisse tale incarico)
credo tolleri il mio sfogo urlato solo per sua innata bontà.
Non c’è
verso: si è bravi solo se si evita l’infezione da covid-19.
Che cosa può
contare di più se non snocciolare i dati attestanti l’assenza di casi o un
numero ridotto di infezioni all’interno della casa di riposo?
Cosa importa
se i nonni dichiarano che preferirebbero vedere una volta di più figli e nipoti
e, al diavolo il Covid, morire se fosse il loro destino? La psicologa mi
conferma che quello è il desiderio ricorrente nella maggioranza degli anziani.
Covid
maledetto! Ti ho vissuto fra le mura dell’ospedale, porto i tuoi segni nel
cuore e nell’anima; non ancora soddisfatto mi metti alla prova rubandomi mia
mamma?
Ladro,
maledetto ladro dei nostri nonni! Diabolicamente hai intrappolato la mente di
molti di noi nella paura del tuo potere di sconfiggere la vita e, mentre tutti
si guardano alle spalle per poi mettersi
al petto la medaglia di “salvatori dei nonni”, salvati dal tuo vigliacco
attacco, tu te la ridi rubando la gioia, la serenità, l’affetto della famiglia
ad ognuno di loro!
Tu, covid,
non tornerai. Tu continui a imperversare nella mente di tutti rubando il bene
supremo: l’amore reciproco.
Io tornerò,
mamma! Tornerò e combatterò ora per un abbraccio ed un bacio che non voglio rimpiangere
quando i giorni naturalmente si esauriranno.
L’incensurato
ladro Covid lo vinceremo, insieme.