17 settembre 2020

FACCIAMO LA FESTA AI NOSTRI NONNI

 

Non ricordo chi abbia istituito la Festa dei Nonni e non sono nemmeno sicura di ricordare la data esatta: 2 ottobre. A conclusione di un'estate in cui il Covid-19 l'ha fatta da padrone, in cui la caccia all'untore non è mai venuta meno e, di volta in volta, si sono designate le "categorie" di persone più a rischio,mi chiedo quali onori si renderanno ai nostri nonni, "categoria" a rischio conclamato.
Preservare i nonni dal covid-19 privandoli delle visite e degli abbracci dei loro nipoti, significa accusare i pargoli quali untori, creature mortifere.
Fra nonni e nipoti ci siamo noi, figli-genitori turbati, credo, dal terribile dilemma: preservo la vita o concedo baci ed abbracci?
Se, per chi ha la possibilità di vivere fra le proprie quattro mura, il comportamento è affar proprio, per i nonni costretti alla vita comunitaria l'esistenza ora è obbedienza, sottomissione alle decisioni imposte da altri.  Linee guida, protocolli, regolamenti si susseguono impietosi: mai la scienza medica è stata "scienza esatta" come in questo periodo e tutti hanno una sua profonda conoscenza.
Non importa se la medicina non è una scienza esatta, mai, se la scienza si fa comprendere solo da chi la studia.
Vi sono dirigenti di RSA che possono appuntarsi sul bavero della giacca la coccarda del "covid free": tutti i nonni vivi e vegeti. 
Vivi. Davvero? Cosa significa "vivere" per loro? Se lo si chiede loro, si scopre la loro determinata, chiara concezione della vita
Chi entra in gioco nel decidere cosa debba essere la loro vita, siamo anche  noi loro figli; sorrido al pensare quanto l'educazione, i tratti genetici trasmessici da loro , oggi siano decisivi per la completezza della loro esistenza.
Come se non bastassero le diatribe consuete, il Covid serpeggia astutamente nei pensieri di ognuno di noi dirigendo anche i sentimenti e fomenta la contesa fra i figli dei "nonni":  chi li vuole al riparo, rinchiusi fra quattro mura; chi li vuole almeno al sole, seppur con la mascherina.
Non basta: ora ci si guarda in cagnesco, fra figli, temendo che chi porta i  nonni al sole ne faccia degli untori per i loro al riparo.
Tutti sappiamo di essere "scientificamente" nel giusto:  Nel frattempo i nostri amati nonni subiscono.
Quale scienziato vincerà?
In tanto, i giorni di vita terrena diminuiscono per tutti.
 Ricordo con piacere  un'espressione apparentemente sacrilega di un mio amico: "Io prego il Signore che mi faccia morire sano". E tutti sappiamo che la salute è  il soddisfacimento di un perfetto equilibrio socio-psico-fisico
 Quante volte ci diciamo che gradiremmo evitare la sofferenza, che vorremmo morire velocemente e il più possibile in modo indolore!?! Dovremmo essere così generosi anche nei confronti dei nostri nonni.
Non aspettiamo di ritrovarci a rimpiangere gli abbracci sottratti negli ultimi istanti di vita, a lagnarci di non essere stati loro accanto nel momento del distacco perchè costretti a farlo dalle linee guida, dai protocolli e dai regolamenti; festeggiamo i nostri nonni oggi, domani e per quanti altri giorni il Signore concederà!
La vita appartiene a Dio, al Signore a cui continuiamo negare celebrazioni di lode e di fede tanto care ai nostri nonni costretti ad arrangiarsi come meglio possono per mantenere viva la loro fede da sé. Nemmeno fossero perseguitati.
Chiediamo al Signore il dono dell'intelligenza per amministrare la nostra e la loro permanenza terrena con il Suo aiuto, con la sobrietà di chi mette in pratica la fede proclamata, insegnando ai nostri fanciulli l'amore incondizionato, semplice e innocente che loro solo sanno donare
 


12 settembre 2020

"SARAI SALVATO TU E LA CASA TUA"

Nel libro degli Atti degli Apostoli, che forma con altri 65 libri la Bibbia nella versione dei Settanta, si legge : "Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e tutta la tua casa" (capitolo !6:31).

Per noi, che abbiamo scelto di rispondere alla chiamata di Gesù a dispetto della tradizione a cui fummo indottrinati, è una delle promesse fondamentali di cui attendiamo la realizzazione mentre osserviamo e preghiamo per i nostri familiari ancora lontani dalla esperienza personale di fede.

Personalmente, mi succede di guardare ai nuclei familiari tutti uniti nell'amore di Dio e impegnati nel servire l'Eterno con una "benevole invidia", domandandomi cosa stia io sbagliando poiché ancora la mia famiglia non compie un passo di fede definitivo in Gesù.

Nei momenti di maggiore amarezza, il Signore mi soccorre ricordandomi non solo il testo riportato negli Atti degli apostoli ma, soprattutto, ricordandomi la Sua fedeltà nelle tantissime situazioni, meglio in tutte le situazioni difficili affrontate con il Suo intervento. Il Signore non mi ha mai tradita abbandonandomi nei miei guai o lasciandomi sola. Sono certa non verrà meno e non tradirà la Sua promessa per la mia famiglia.

La considerazione emergente nei miei pensieri di questi ultimi giorni, riguarda la famiglia di Gesù.

 Anche nella Sua, vi erano membri non credenti: alcuni suoi fratelli.

Siamo soliti dire che non vi sia difficoltà che il Signore non abbia vissuto prima di noi: non sarebbe così se nella Sua famiglia tutto fosse "filato liscio"!

Gesù sa e comprende chi ripone la sua fiducia in Lui, crede e vive mettendo in pratica la Sua parola mentre il resto della famiglia appare disinteressata e lontana da Lui. Conosce ogni travaglio, ogni scoraggiamento, la fatica e le lacrime versate di fronte a percorsi nel peccato in cui si ostinano i familiari.

Il Signore ha donato a tutti gli uomini un'arma infallibile: la preghiera. Nella preghiera comunichiamo personalmente con Lui e riceviamo risposte personali e riservate atte a realizzare le promesse che Egli ci fa.

Dobbiamo solo credere in Lui e aspettare i Suoi tempi perchè le promesse diventino realtà.

 Anche nella nostra famiglia. 

A Dio sia la gloria!



07 settembre 2020

LA VISITA

 


Fra qualche giorno ti rivedrò, mamma.

Alzo gli occhi al cielo mentre mi cadono le braccia leggendo le rigide condizioni dettate per l’incontro. Dopo cinque mesi  non potrai sfiorarmi, non mi lascerò convincere alla trasgressione per un furtivo bacio.

 Mi vergogno del mio lamentarmi, rivivendo i giorni in ospedale  “ covid” carichi del dolore dei figli che non hanno potuto abbracciare il loro padre, la loro madre nemmeno per l’ultima volta.

 Lo so: ascolterò le tue proteste, non potrò contraddirti, non potrò condividere quel che improvviso mi assale perché non so dimenticare.

Mamma, tu non sai ed io so quale privilegio abbiamo nel rivederci.  Anche senza abbracci, anche con la fame di un bacio.

 Riuscirò a nasconderti l’anima mia travagliata che ancora versa lacrime, ancora non cancella le grida di disperazione di mamme consce del loro incipiente morire, la pacata richiesta di aiuto di padri dal fiato sempre più corto?

In altri tempi, sorprendendomi mentre piangevo la morte di una paziente mi dicesti : “ piandi co mor to mare”( piangi quando muore tua madre); mamma, non sono mai riuscita ad obbedirti.

Torno a te dopo che troppe volte mi sono chinata su un corpo esanime,  ho ricomposto corpi senza più vita, ho trascorso ore abbracciando e incoraggiando nelle lunghe notti chi da solo non riusciva a stare.

Tu mi chiederai qualche novità e io non ne avrò. Guarderemo insieme il profilo delle nostre montagne, mi lascerò conquistare una volta ancora dal tuo vernacolo  e nel profilo dell’orizzonte riverserò ogni mio ricordo, ogni ultima parola ascoltata e pronunciata.

Sono ancora lì, fra quelle quattro mura di ospedale. 

Staremo insieme o meglio, ci vedremo per poco meno di trenta minuti.

Non dovrò dirtelo, lo so; tu capirai da sola che non saremo mai state sole.

 

“Io sto morendo, io sto morendo!”

Busto eretto nonostante le contenzioni ai polsi,  a mani libere ti saresti rimossa l’ennesimo catetere venoso periferico e e il tuo patrimonio venoso era ormai irrimediabilmente rovinato, mascherina per l’ossigeno terapia scivolata sul petto, occhi sbarrati alla ricerca di un viso noto nella solitudine della tua stanza  singola, letto completamente sfatto, non smettevi di gridare il tuo sentire. La terapia sedativa non aveva l’effetto sperato.  La tua inquietudine notturna era nota, segnalata nel passaggio di consegne al cambio turno fra infermieri.

“Io sto morendo, io sto morendooo!”  e noi , che ancora non avevamo completato la vestizione con doppio camice, doppi guanti, doppia mascherina, cuffia, occhiali di protezione, dalla porta ti parlavamo cercando di richiamare la tua attenzione, di farti sentire la nostra presenza. 

“Io sto morendoooo!”  continuavi con gli occhi sbarrati in un viso irriconoscibile rispetto ai giorni del tuo arrivo in reparto. Siamo arrivate a te, finalmente. Fra un abbraccio e una carezza abbiamo riportato in posizione corretta la mascherina, riassettato il letto, riadagiato il tuo corpo contorto in posizione confortevole ,abbiamo soddisfatto il tuo bisogno di idratazione. Siamo state con te, per quanto tempo non so, ore sicuramente,  sorprese del tuo repentino cambiamento, inatteso. Di te sapevamo il numero di figli, nipoti e pronipoti, avevamo apprezzato la tua grinta nel voler riacquistare la completa autonomia nonostante quella fatica, minimizzata, a respirare.

 Alla quotidiana telefonata di tua figlia, un paio di giorni dopo,  risposi personalmente offrendomi da darle il numero di cellulare per una video chiamata. Allora eri calma, il respiro lieve e l’espressione serena ritenevo potessero essere di consolazione per lei ma, tua figlia rifiutò dichiarando di preferire ricordarti attiva e in gamba. Non passarono che pochi minuti e il suo desiderio lo esaudisti. 

Morta,sì, ma il tuo grido non vuole tacere ancora.

Gli occhi azzurri specchio di un’anima dolce  e mite, la tipica parlata bergamasca secca e ruvida, quasi a contrasto con lo sguardo e le mani affusolate ben curate, una serie di patologie di cui una non più curabile per le quali non esprimevi alcun rammarico, ci avevano conquistati. Giorno dopo giorno con tutta la delicatezza di cui siamo capaci ti abbiamo guidato, sorretto nell’accettare i nostri interventi sempre più invadenti la tua intimità. Per ogni nostro gesto c’era sempre un “grazie” sincero come il  tuo cuore.  Non volevi mai disturbare. Volevi la verità. Cosa avessi compreso di quel farmaco iniziato da cui traevi beneficio nelle crisi peggiori di fame d’aria, non lo sappiamo. Non ne parlavi, chiedevi sempre più frequentemente di incrementare la dose come ti aveva detto il medico era possibile sapendo che in noi non avresti trovato opposizione. Con grande naturalezza tua moglie rispondeva a tutte le tue chiamate nel pieno della notte. Ho pregato per non essere io a doverti chiudere gli occhi. Il Signore è stato buono con me.

 

“Adesso si sieda qui accanto a me e preghiamo insieme”.

Sbirci l’orologio, sono le due di notte.

Oltre la porta altri malati, di sottofondo il respiro pesante di chi sta terminando il suo viaggio terreno,  i protocolli di isolamento droplet e contatto che consigliano una certa distanza.

 Decidi: ti avvolgi nel camice protettivo, pigi il pulsante per accendere la luce in corridoio indice della tua presenza in quella stanza, ti siedi accanto alla tua paziente.

Quasi ti disturba accarezzare la sua mano con la tua protetta dal doppio guanto, ti spiace rendere più difficile da recepire il tuo sussurro causa la mascherina ma, non puoi rischiare: ti lasci coinvolgere dalla preghiera. Sul suo viso torna il sereno, turbato poco prima dagli incubi causati dalla terapia antiretrovirale riesumata sperando serva, non sai come dirle che non puoi più trattenerti lì con lei.

Le affidi un compito: continuare la preghiera per la sua compagna di camera, nascosta alla sua vista da un paravento, di cui sopporta il respiro greve della morte che compie il suo lavoro. Lei accetta e tu respiri di sollievo.

Ti spogli dei DPI, raggiungi gli altri apparentemente tranquilli nel loro sonno. Torni di nascosto a vederla: dorme.

Si addormenta definitivamente anche la sua vicina, la camera è avvolta da una rispettosa quiete.

Accettare la morte è più facile sapendo di aver fatto proprio tutto quanto è possibile per una persona, la tua vicina di letto, che non è stata sconfitta dalla malattia di moda , che è anche la tua ma, ha più naturalmente concluso i giorni di vita donateli dal Signore.

 Anche per te che, tornata a casa rivivi quella situazione, seppur con l’emozione dettata dalla vita che si spegne, dalla sofferenza di chi affronta giorni di solitudine e riflessioni riprende vigore il tuo credo, mai nascosto e dichiari  ora più che mai fermamente: cristiana al servizio dell’uomo e operaia di Dio

 

Per te,

nel tuo letto di dolore rannicchiato,

poco fiato,

dal medicinale assai prostrato,

io prego!

Nulla so del tuo vissuto,

nessun parente ho conosciuto,

della voce sol riconosco il tono

al tuo fianco giunta

allor che sei in collegamento

ma,

dello strazio che vi unisce di nascosto,

io condivido il cordoglio.

Prego quando meno te lo aspetti,

sul tavolo in cucina,

dentro il bagno,

ormai a letto,

tu non lasci il mio intelletto.

Prego, sai,

non per il giorno odierno

ma, per il tuo futuro eterno.

Dicon non sia più di moda,

or è vita e non una volta morto

ma,

io che del mio Padre la volontà conosco,

prego che non sia il virus ad aver vittoria

ma,

che il tuo Creator in te

celebri la Sua gloria.

Fammi dono di lasciarmi il tuo respiro

non nel dubbio

ma,

nella certezza della tua salvezza,

allor saprò

di aver il mio operar completamente a te donato!

 

Mi perdonerai, mamma, vedendomi distratta, sprofondata nel tormento dei tanti volti dal destino compiuto, nella bramosia insoddisfatta di sapere quale sia stato il futuro dei “miei” pazienti trasferiti d’urgenza per cure intensive in altri ospedali; silenziosamente spierai ogni lampo di sofferenza nel mio sguardo, ogni gesto inconsueto ed ogni parola di rabbia. Tu mi capisci sempre.

Sarai tu a indicarmi il volo alto delle poiane, sarai tu a chiederti se siano la stessa coppia dello scorso anno.

Sarai tu ad indicarmi il bosco ancora più folto là dove un tempo si portavano al pascolo le vacche,  sarai tu a ricordarmi i “termen”, i confini, da non oltrepassare qualora siano in corso lavori di ristrutturazione della antica casa. Tu sai che nell’abbraccio delle nostre montagne, nel vigore della natura che meglio conosco e nella parlata a me un tempo proibita ed ora argomento di studio io posso ritrovare me stessa.

 Solleciterai ogni corda del mio essere con il garbo e la saggezza della tua vita ormai prossima al secolo per riavermi allegra e sorridente alla prossima visita.

Ci sarò, mamma! Disperse lacrime ancora cocenti sulle rive del lago in cui si specchiano nuvole e monti  tremuli al nuoto di una ordinata cucciolata di germani guidati dalla mamma la quale, al tramonto, li guida in antri sicuri,  tornerò a vivere al richiamo della luna nel cielo stellato.