Fra qualche
giorno ti rivedrò, mamma.
Alzo gli
occhi al cielo mentre mi cadono le braccia leggendo le rigide condizioni
dettate per l’incontro. Dopo cinque mesi
non potrai sfiorarmi, non mi lascerò convincere alla trasgressione per
un furtivo bacio.
Mi vergogno del mio lamentarmi, rivivendo i
giorni in ospedale “ covid” carichi del
dolore dei figli che non hanno potuto abbracciare il loro padre, la loro madre
nemmeno per l’ultima volta.
Lo so: ascolterò le tue proteste, non potrò
contraddirti, non potrò condividere quel che improvviso mi assale perché non so
dimenticare.
Mamma, tu
non sai ed io so quale privilegio abbiamo nel rivederci. Anche senza abbracci, anche con la fame di un
bacio.
Riuscirò a nasconderti l’anima mia travagliata
che ancora versa lacrime, ancora non cancella le grida di disperazione di mamme
consce del loro incipiente morire, la pacata richiesta di aiuto di padri dal
fiato sempre più corto?
In altri
tempi, sorprendendomi mentre piangevo la morte di una paziente mi dicesti : “
piandi co mor to mare”( piangi quando muore tua madre); mamma, non sono mai
riuscita ad obbedirti.
Torno a te
dopo che troppe volte mi sono chinata su un corpo esanime, ho ricomposto corpi senza più vita, ho
trascorso ore abbracciando e incoraggiando nelle lunghe notti chi da solo non
riusciva a stare.
Tu mi
chiederai qualche novità e io non ne avrò. Guarderemo insieme il profilo delle
nostre montagne, mi lascerò conquistare una volta ancora dal tuo vernacolo e nel profilo dell’orizzonte riverserò ogni
mio ricordo, ogni ultima parola ascoltata e pronunciata.
Sono ancora
lì, fra quelle quattro mura di ospedale.
Staremo
insieme o meglio, ci vedremo per poco meno di trenta minuti.
Non dovrò
dirtelo, lo so; tu capirai da sola che non saremo mai state sole.
“Io sto
morendo, io sto morendo!”
Busto eretto
nonostante le contenzioni ai polsi, a
mani libere ti saresti rimossa l’ennesimo catetere venoso periferico e e il tuo
patrimonio venoso era ormai irrimediabilmente rovinato, mascherina per
l’ossigeno terapia scivolata sul petto, occhi sbarrati alla ricerca di un viso
noto nella solitudine della tua stanza
singola, letto completamente sfatto, non smettevi di gridare il tuo
sentire. La terapia sedativa non aveva l’effetto sperato. La tua inquietudine notturna era nota,
segnalata nel passaggio di consegne al cambio turno fra infermieri.
“Io sto
morendo, io sto morendooo!” e noi , che
ancora non avevamo completato la vestizione con doppio camice, doppi guanti,
doppia mascherina, cuffia, occhiali di protezione, dalla porta ti parlavamo
cercando di richiamare la tua attenzione, di farti sentire la nostra
presenza.
“Io sto
morendoooo!” continuavi con gli occhi
sbarrati in un viso irriconoscibile rispetto ai giorni del tuo arrivo in
reparto. Siamo arrivate a te, finalmente. Fra un abbraccio e una carezza
abbiamo riportato in posizione corretta la mascherina, riassettato il letto,
riadagiato il tuo corpo contorto in posizione confortevole ,abbiamo soddisfatto
il tuo bisogno di idratazione. Siamo state con te, per quanto tempo non so, ore
sicuramente, sorprese del tuo repentino
cambiamento, inatteso. Di te sapevamo il numero di figli, nipoti e pronipoti,
avevamo apprezzato la tua grinta nel voler riacquistare la completa autonomia
nonostante quella fatica, minimizzata, a respirare.
Alla quotidiana telefonata di tua figlia, un
paio di giorni dopo, risposi
personalmente offrendomi da darle il numero di cellulare per una video
chiamata. Allora eri calma, il respiro lieve e l’espressione serena ritenevo
potessero essere di consolazione per lei ma, tua figlia rifiutò dichiarando di
preferire ricordarti attiva e in gamba. Non passarono che pochi minuti e il suo
desiderio lo esaudisti.
Morta,sì, ma
il tuo grido non vuole tacere ancora.
Gli occhi
azzurri specchio di un’anima dolce e
mite, la tipica parlata bergamasca secca e ruvida, quasi a contrasto con lo
sguardo e le mani affusolate ben curate, una serie di patologie di cui una non
più curabile per le quali non esprimevi alcun rammarico, ci avevano
conquistati. Giorno dopo giorno con tutta la delicatezza di cui siamo capaci ti
abbiamo guidato, sorretto nell’accettare i nostri interventi sempre più
invadenti la tua intimità. Per ogni nostro gesto c’era sempre un “grazie”
sincero come il tuo cuore. Non volevi mai disturbare. Volevi la verità.
Cosa avessi compreso di quel farmaco iniziato da cui traevi beneficio nelle
crisi peggiori di fame d’aria, non lo sappiamo. Non ne parlavi, chiedevi sempre
più frequentemente di incrementare la dose come ti aveva detto il medico era
possibile sapendo che in noi non avresti trovato opposizione. Con grande
naturalezza tua moglie rispondeva a tutte le tue chiamate nel pieno della
notte. Ho pregato per non essere io a doverti chiudere gli occhi. Il Signore è
stato buono con me.
“Adesso si
sieda qui accanto a me e preghiamo insieme”.
Sbirci
l’orologio, sono le due di notte.
Oltre la
porta altri malati, di sottofondo il respiro pesante di chi sta terminando il
suo viaggio terreno, i protocolli di
isolamento droplet e contatto che consigliano una certa distanza.
Decidi: ti avvolgi nel camice protettivo, pigi
il pulsante per accendere la luce in corridoio indice della tua presenza in
quella stanza, ti siedi accanto alla tua paziente.
Quasi ti
disturba accarezzare la sua mano con la tua protetta dal doppio guanto, ti
spiace rendere più difficile da recepire il tuo sussurro causa la mascherina
ma, non puoi rischiare: ti lasci coinvolgere dalla preghiera. Sul suo viso
torna il sereno, turbato poco prima dagli incubi causati dalla terapia
antiretrovirale riesumata sperando serva, non sai come dirle che non puoi più
trattenerti lì con lei.
Le affidi
un compito: continuare la preghiera per la sua compagna di camera, nascosta
alla sua vista da un paravento, di cui sopporta il respiro greve della morte
che compie il suo lavoro. Lei accetta e tu respiri di sollievo.
Ti spogli
dei DPI, raggiungi gli altri apparentemente tranquilli nel loro sonno. Torni di
nascosto a vederla: dorme.
Si
addormenta definitivamente anche la sua vicina, la camera è avvolta da una
rispettosa quiete.
Accettare
la morte è più facile sapendo di aver fatto proprio tutto quanto è possibile
per una persona, la tua vicina di letto, che non è stata sconfitta dalla
malattia di moda , che è anche la tua ma, ha più naturalmente concluso i giorni
di vita donateli dal Signore.
Anche per te che, tornata a casa rivivi quella
situazione, seppur con l’emozione dettata dalla vita che si spegne, dalla
sofferenza di chi affronta giorni di solitudine e riflessioni riprende vigore
il tuo credo, mai nascosto e dichiari ora
più che mai fermamente: cristiana al servizio dell’uomo e operaia di Dio
Per te,
nel tuo
letto di dolore rannicchiato,
poco
fiato,
dal
medicinale assai prostrato,
io prego!
Nulla so
del tuo vissuto,
nessun
parente ho conosciuto,
della voce
sol riconosco il tono
al tuo
fianco giunta
allor che
sei in collegamento
ma,
dello
strazio che vi unisce di nascosto,
io
condivido il cordoglio.
Prego
quando meno te lo aspetti,
sul tavolo
in cucina,
dentro il
bagno,
ormai a
letto,
tu non
lasci il mio intelletto.
Prego,
sai,
non per il
giorno odierno
ma, per il
tuo futuro eterno.
Dicon non
sia più di moda,
or è vita
e non una volta morto
ma,
io che del
mio Padre la volontà conosco,
prego che
non sia il virus ad aver vittoria
ma,
che il tuo
Creator in te
celebri la
Sua gloria.
Fammi dono
di lasciarmi il tuo respiro
non nel
dubbio
ma,
nella
certezza della tua salvezza,
allor
saprò
di aver il
mio operar completamente a te donato!
Mi perdonerai,
mamma, vedendomi distratta, sprofondata nel tormento dei tanti volti dal destino
compiuto, nella bramosia insoddisfatta di sapere quale sia stato il futuro dei
“miei” pazienti trasferiti d’urgenza per cure intensive in altri ospedali;
silenziosamente spierai ogni lampo di sofferenza nel mio sguardo, ogni gesto
inconsueto ed ogni parola di rabbia. Tu mi capisci sempre.
Sarai tu a
indicarmi il volo alto delle poiane, sarai tu a chiederti se siano la stessa
coppia dello scorso anno.
Sarai tu ad
indicarmi il bosco ancora più folto là dove un tempo si portavano al pascolo le
vacche, sarai tu a ricordarmi i
“termen”, i confini, da non oltrepassare qualora siano in corso lavori di
ristrutturazione della antica casa. Tu sai che nell’abbraccio delle nostre
montagne, nel vigore della natura che meglio conosco e nella parlata a me un
tempo proibita ed ora argomento di studio io posso ritrovare me stessa.
Solleciterai ogni corda del mio essere con il
garbo e la saggezza della tua vita ormai prossima al secolo per riavermi
allegra e sorridente alla prossima visita.
Ci sarò,
mamma! Disperse lacrime ancora cocenti sulle rive del lago in cui si specchiano
nuvole e monti tremuli al nuoto di una
ordinata cucciolata di germani guidati dalla mamma la quale, al tramonto, li
guida in antri sicuri, tornerò a vivere
al richiamo della luna nel cielo stellato.