25 aprile 2018

IN NOME DELLA LIBERTA'



La distanza fra Milano e Dervio non era così significativa già negli anni '60, quando le macchine non sfrecciavano potenti e veloci come ora e il traffico non consisteva in code chilometriche. Erano gli anni del boom economico, frutto dalla polpa dolce e seducente con la scorza intaccata dai ricordi di una guerra terminata da poco. Mio papà non era esente, come moltissimi suoi coetanei, dal dover metabolizzare l'umiliazione di una amara prigionia.
Da sempre, sapevo dai suoi
 racconti, dopo la liberazione,impegnava il suo tempo libero nella ricerca di coloro con cui aveva condiviso il servizio militare e\o la prigionia. 
Quella era una delle domeniche in cui, con la scusa di una gita fuori porta, ci conduceva, mia mamma e me, sulle tracce di un amico, compagno di sventura. Aveva racimolato poche informazioni: paese di residenza, l'attività svolta, forse, la gestione di un bar. Lo spettacolo offerto dal lago costeggiato non stemperava la tensione in nessuno di noi: l'avrebbe trovato papà il suo compagno di sventura? L'avrebbe riconosciuto?
Era una splendida giornata di inizio estate, fiori sbocciati in mille colori donavano eleganza indifferentemente ai giardini di ville importanti e alle sponde libere, baciate dalle delicate morbide onde fra le quali mi sarei immersa volentieri. A fiuto mio papà decise di fermarsi ad uno dei bar che si affacciava sul lago, dalla strada si intravvedeva uno spazio arredato con seggiole, tavolini ed ombrelloni, posti tutti occupati da giovani ed anziani. Lo seguimmo con passo incerto e cuore in gola: papà ci aveva chiesto molta discrezione volendo far una sorpresa, ammesso di aver azzeccato il posto esatto.
Più persone correvano da un tavolino all'altro per soddisfare le richieste degli avventori; non fecero caso alla famigliola che frettolosamente andò ad occupare il tavolo appena lasciato libero da altre persone. L'indecisione dell'ordinazione concesse a noi tutti qualche minuto per ripigliare fiato, darci un contegno di apparente normalità mentre l'occhio volteggiante da un viso all'altro tradiva l'aspettativa. Trascorsero pochi minuti. Il rumore di un vassoio rotolato a terra con tutto il suo contenuto solo per un attimo richiamò l'attenzione dei presenti che, a bocca aperta, in silenzio, stupirono di fronte all'abbraccio di due uomini maturi, travolti da un'emozione scatenante in entrambi un pianto a tratti sconfinante in un lamento di dolore e gioia probabilmente mai ascoltato prima. Si erano riconosciuti, contemporaneamente, all'istante. Dopo venti anni.
Le ore seguenti furono solo tempo di festa, raccolta tutta la famiglia, lasciati i camerieri soli a gestire per quel pomeriggio il bar, in cui i ricordi dei due amici, compagni di sventura, si sovrapponevano e completavano fra le lacrime e i singhiozzi finalmente liberi di innalzarsi nel nome di una Patria amata e traditrice. 
Per te, papà, per tutti i tuoi, nostri, amici, tuoi compagni di sventura di cui non dimentico nessuno di quegli incontri
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